mercoledì 9 gennaio 2013

Rita Levi Montalcini: una vita per la scienza e il progresso...ma senza Dio


Rita Levi Montalcini, Premio Nobel per la Medicina nel 1986 e Senatore a vita della Repubblica Italiana dal 2001, è mancata il 30 dicembre scorso a Roma, a 103 anni. La notizia della scomparsa dell'eminente scienziata italiana, forse la più grande nella storia del nostro paese, ha fatto rapidamente il giro del mondo mentre già iniziava il conto alla rovescia per il capodanno 2012.
Come è stato ricordato nei giorni scorsi, è stata una grandissima scienziata e una donna che ha reso onore al nostro paese per tutta la sua lunga e operosa vita, non hai smesso di lavorare e di impegnarsi per il progresso della scienza e per spronare i giovani a dedicarsi ad essa. Si deve inoltre almeno citare la Fondazione Rita Levi Montalcini onlus istituita nel 1992 per sostenere i giovani e in particolare le donne africane.
Sarebbe superfluo e inutile riportare qui la sua biografia e le sue scoperte scientifiche che si possono ritrovare facilmente altrove.


Quello che mi pare di dover sottolineare ricordando il Premio Nobel e la prima donna membro della Pontificia Accademia delle Scienze dal 1974, è la sua visione della scienza e il suo rapporto con la religione. Di origine ebrea, ma non praticante, la professoressa Montalcini rispose così quando Piergiorgio Oddifreddi, durante un'intervista riportata nel libro "Incontro con menti straordinarie" (2006), le chiese se credesse in Dio: "Sono atea. Non so cosa si intenda per credere in Dio". E purtroppo la scienziato lo rimase fino alla fine dei suoi giorni.

E sulla religione, nel libro "Elogio dell'imperfezione", la Montalcini scrisse: "Per la religione invece mi ero trovata in imbarazzo la prima volta che mi era stata rivolta la domanda, perché sull'argomento avevo idee vaghe. Ero ebrea, israelita o che diavolo altro?"
Inoltre, in occasione di un'altra intervista, sempre nel 2006, ebbe a dire: "Personalmente, pur dichiarandomi laica o meglio agnostica e libera pensatrice, mi ritengo tuttavia profondamente "credente", se per religione si intende credere nel bene e nel comportamento etico: non perseguendo questi principi, la vita non merita di essere vissuta".
Queste dichiarazioni confermano la rettitudine e la saggezza della Levi Montalcini, ma lasciano vedere, allo stesso tempo, un vuoto, una mancanza: come si può definire la "religione che crede nel bene e nel comportamento etico"?  In cosa consisterebbe? Chi definisce il bene e il comportamento etico? Pensando a questa così illustre e rigorosa scienziata, pare strano che abbia potuto davvero accettare una religione così debole e ridotta ad un'etica che non appare ben definita. Pare essere un'etica "fai da te", personale o personalizzata, che, purtroppo, facilmente può mutare a seconda delle situazioni e delle decisioni del singolo.

Più note sono le posizioni nel campo bioetico della scienziata, e in particolare a proposito dell'eutanasia, a favore della quale si era schierata in modo esplicito più volte, firmando con altri scienziati e politici l'appello per istituire legalmente il testamento biologico in Italia.
La Montalcini aveva affermato: «Nessuno ha il diritto di sopprimere la vita, l'eutanasia potrebbe essere concessa sempre e soltanto nella fase terminale di malattie che provocano gravi sofferenze, in seguito a processi degenerativi o neoplastici senza speranza di guarigione. Sono favorevole all'eutanasia soltanto per la propria persona attraverso un testamento "biologico" stilato, a norma di legge, in pieno possesso delle proprie facoltà mentali, nel quale si dichiari che, qualora non si fosse più in grado di possedere le facoltà di intendere e di volere, una commissione di medici esperti può porre fine alle gravi sofferenze o ad una vita priva di capacità cognitive».

Anche in questa dichiarazione si vede come la sua posizione sull'eutanasia sia molto debole e confusa: da un lato si afferma il diritto alla vita mentre dall'altro si propende per l'eutanasia nei casi gravi e se la persona ha stilato un testamento biologico. Quindi, a seconda dei casi e secondo la volontà del singolo.
In un'altra e forse ultima intervista, pubblicata come inedito su La Stampa il 31 dicembre scorso, sempre sul tema dell'eutanasia aveva commentato: «Sono stata molto attaccata per essermi espressa a favore dell’eutanasia. Personalmente penso che ognuno di noi ha il diritto di decidere della propria vita. C’è chi distingue tra eutanasia attiva ed eutanasia passiva. La passiva si limita a non eccedere nei rimedi terapeutici. Io sono per l’eutanasia attiva».
Ancora, in un'intervista rilasciata aLa 7 nel 2003, la Montalcini dichiarò di volere per se stessa l'eutanasia (letteralmente una "morte dignitosa") nel caso in cui la malattia la rendesse incapace di intendere e di volere. Siamo molto contenti che, almeno per quanto si è saputo, Rita Levi Montalcini abbia vissuto fino a 103 anni in buona salute e non abbia dovuto avvalersi dell'eutanasia perché la morte 'per eutanasia' non sarebbe stata una morte dignitosa e serena come invece quella che ha avuto e come tutti possono normalmente avere. La morte di per sé non è dignitosa se è dolce o indolore, la morte può essere 'buona' se è il punto di arrivo di una buona vita e si giunge al momento finale in pace con se stessi e tutti e in grazia di Dio.

Infine, tra le molte interviste che la professoressa ha rilasciato, è una nota positiva quanto ha dichiarato a Fabio Fazio sulla morte nel 2009: la Montalcini non aveva paura della morte - non temeva nulla - e si confermava una persona forte e sicura di se stessa, che voleva disinteressarsi di sé per capire il mondo, interessarsi agli altri e cercare di fare tutto il possibile per aiutarli. Purtroppo però la scienza non è l'unica strada da percorrere e non può risolvere tutti i problemi o i bisogni delle persone.

Nel caso specifico della scienziata, la morte improvvisa è stata la cosa migliore, per concludere in modo degno la sua esistenza così lunga e proficua e con ampie soddisfazioni e i più alti riconoscimenti sul piano professionale: l'eutanasia è infatti un arrendersi alla vita, è rinunciare a lottare, è non seguire e riconoscere la natura umana come è, che comprende anche il dolore, la malattia e richiede anche l'umiltà di accettare che la scienza, e la medicina in particolare, non possono guarire tutto.

Come tutti siamo nati - non creati dal nulla o dalla scienza che, anche lavorando alla FIVET in un laboratorio ha bisogno comunque degli spermatozoi maschili e degli ovuli femminili - così moriremo, senza che ci sia la necessità dell'intervento della scienza perché accada in modo più rapido e prima della scadenza naturale.
Speriamo che la scienziata ora possa rispondere alla domanda più importante e più difficile di tutte: "Chi è Dio?" Solo incontrandolo, conoscendolo e amandolo potrà rispondere e raggiungere così il risultato e il successo più alto che, sfortunatamente, non è riuscita ad ottenere nella vita terrena.

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