lunedì 5 novembre 2012

La Cina vieta l'espianto degli organi dai corpi dei detenuti giustiziati: "atto immorale e non sostenibile"


E' stata resa pubblica lo scorso 2 novembre, giorno tradizionalmente dedicato al ricordo dei defunti nella religione cristiana, la notizia che il governo cinese ha - finalmente - vietato l'espianto di organi dai condannati a morte giustiziati a partire dall'anno prossimo, per arrivare a stabilire un nuovo sistema di reperimento degli organi entro i prossimi cinque anni definito dall'università di Hong Kong e dalla Croce Rossa.
Purtroppo, pare che questo modo di procurarsi gli organi per il trapianto fosse molto diffuso (nel 2009 due terzi degli organi trapiantati provenivano da detenuti giustiziati) e ben radicata nel paese dei mandarini: la Cina con 10.000 trapianti l'anno è il secondo paese del mondo dopo gli Stati Uniti e, nel contempo, è al primo posto nel mondo per le esecuzioni capitali secondo i dai ufficiali (che Amnesty International giudica però molto più bassi del reale). 
Tale situazione era da tempo ben nota anche in Occidente: già nel 2005 Huang Jiefu, vice ministro alla Salute, aveva ammesso che la maggior parte degli organi per i trapianti sono di condannati a morte. Si trattava, in poche parole, di un vero e proprio mercato degli organi, 'venduti' anche attraverso i siti internet dei centri di trapianto cinesi, con tanto di tariffario e tempistica per avere l'organo 'desiderato' (rene, fegato, cuore, ecc.). I 'clienti' erano ricchi cinesi, sovente residenti all'estero e a Hong Kong, giapponesi, coreani, ma anche americani. Proprio questo successo dei trapianti "made in China" aveva portato al crescere dei sospetti e delle proteste, tanto che il governo cinese negli ultimi anni aveva emanato alcuni 'regolamenti' che richiedevano il consenso scritto dei donatori, che i trapianti fossero eseguiti solo in ospedali e con medici specializzati e aveva chiesto agli stessi medici di aderire ad un codice etico che li impegnasse a rispettare i principi dell'arte etica.
La notizia dell'abolizione di tale pratica è buona per un duplice motivo. Innanzitutto, prelevare gli organi dai condannati a morte (talvolta accelerando l'esecuzione delle condanne per via della richiesta...) senza il consenso del condannato né della famiglia è assolutamente contrario alla dignità della vita umana e di ogni persona, di qualsiasi età, razza o sesso, indipendentemente dagli atti compiuti, anche se contrari alla morale o alla legge, pentendosi o meno. La dignità 'ontologica' di un uomo è e rimane sempre tale,dal concepimento fino alla morte, e ognuno, anche se colpevole di delitti e condannato giustamente deve essere sempre rispettato, sia in vita sia da morto (anche il cadavere di un uomo conserva una sua dignità). Non è ammissibile considerare il corpo del condannato giustiziato come un materiale a disposizione, che può fornire i 'pezzi di ricambio' per una logica di mercato che va al di là di ogni genere di solidarietà umana. Il fine - avere un organo da trapiantare ad una persona molto malata - in Cina le richieste sono un milione e mezzo all'anno - non giustifica i mezzi utilizzati per raggiungerlo. 
Benedetto XVI nel 2008 dichiarò: "Eventuali logiche di compravendita degli organi, come pure l'adozione di criteri discriminatori o utilitaristici, striderebbero talmente con il significato sotteso del dono che si porrebbero da sé fuori gioco, qualificandosi come atti moralmente illeciti".
Inoltre, il fatto importante è che forse in Cina si sta iniziando a comprendere che si devono rispettare i diritti umani, al di là di esigenze di ordine economico, sociale o secondo visioni politiche e ideologiche e indipendentemente dal riconoscere o meno una dimensione trascendente, dal professare o meno una fede. L'espianto degli organi dai corpi dei detenuti è stato definito un "atto immorale e non sostenibile" dal dott. Wang Haibo, Direttore del centro nazionale di ricerca per i trapianti del ministero della salute: tale dichiarazione è importantissima e forse può aprire un dibattito su altre pratiche cinesi che sono senz'altro definibili immorali e non sostenibili.
Probabilmente, anche la pressione dei mass media ha influito nel creare una crescente opposizione a un tale metodo e a mantenere alta una certa attenzione sulla questione. Si può citare l'inchiesta della BBC nel 2006 e la recentissima pubblicazione di qualche mese fa di un libro-denuncia dal titolo State Organs: Transplant Abuse in China (a cura di D.Matas e Dr. T. Trey, Seraphim Editions). Per questa ragione, vale la pena di continuare a parlare del rapporto tra scienza e religione ma non soltanto, di scienza e etica e di scienza e società, perché sia sempre ribadita la necessità di "fare una scienza per l'uomo" nella sua integralità, senza svantaggiare la parte più debole o calpestare i diritti dei più poveri e deboli a vantaggio dei ricchi e dei più forti.

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